Equilibrio. La parola giusta per descrivere il sistema-alpeggio nelle Valli del Bitto e il formaggio Bitto è equilibrio; una armonia, una misura scoperta - nei secoli - un po’ per caso, per prove e riprove, dai casari, ancora oggi regola e guida.
LA STAGIONE IN ALPEGGIO
È un rito che racchiude grandi sensazioni, che si ripetono in gesti e comportamenti secolari. Cirillo Ruffoni, nel libro Il formaggio “Val del Bitt”, ricorda - così - in una frase la transumanza, ovvero la migrazione stagionale di mandria e pastori, nel ‘900. Il rito è - ancora oggi - un momento di passaggio, soprattutto per gli animali dopo i lunghi mesi in stalla, e avvia la stagione di alpeggio, che inizia a metà giugno e termina a metà settembre.
I giorni in alpeggio sono di lavoro e di fatica, e - con qualche eccezione - è un ripetere attività e gesti; la mungitura e le fasi di produzione del formaggio scandiscono il tempo, le ore.
La sveglia è con il sole, tra le ore 4:30 e le ore 5, e la prima attività è la mungitura, di mucche e capre, così che la materia prima, il latte, è subito pronto per essere lavorato. La mattina, dopo la colazione, ognuno ha un suo impiego: il casaro e il suo aiutante sono occupati nella produzione casearia per circa 3 ore; c’è chi prepara il recinto per la sera, chi taglia la legna. Le vacche sono al pascolo. Il pranzo è alle ore 14 circa, seguito da un momento di giusto riposo, prima della seconda mungitura, alle ore 16 circa. I lavori di manutenzione occupano il pomeriggio, quindi c’è la cena, poi sono da radunare le mucche intorno al calècc per la notte. I casari concludono le ultime produzioni; poi, tutti a dormire - la sveglia suonerà presto, anche domani.
Le strutture
Il Bàrech rappresenta una struttura primordiale consistente in un recinto di muriccia a secco realizzato in origine presso capanne o ripari sotto la roccia. Tali recinti facilitavano la sorveglianza del bestiame e ne evitavano la dispersione in caso di temporali.
Il Calècc è assunto ad emblema dell’alpicoltura della Vagerola, basata sulla “caseificazione itinerante”. È una semplice capanna costituita da un muretto a secco senza copertura fissa. La copertura è costituita da un telone impermeabile sorretto da pertiche e opportunamente ancorato mediante delle corde alla muratura.
All’interno del calecc’, in un angolo, si trova il focolare con il supporto girevole per la caldaia del latte. In un altro angolo il paièr (giaciglio dei pastori), realizzato con una rozza intelaiatura in tronchi e un assito grezzo. Nel calecc’ vi sono anche lo spersoio dove vengono appoggiate, per lo spurgo del siero, le forme di bitto e i garocc’ per la maschèrpa. Non manca mai lo scrìgn (bauletto in legno) con gli effetti personali e le scorte di cibo dei pastori.
La Casera era utilizzata per la conservazione dei latticini.La casera tipica della zona è su due livelli: seminterrato, garantisce un ambiente e temperatura bassa e umidità elevata e costante, idoneo per la stagionatura del Bitto. Il sotto tetto, invece, presentava numerose aperture su più lati atte a favorire il ricambio dell’aria. Questo locale era destinato a mascherpèra, ovvero alla stagionatura delle maschèrpe che richiede un ambiente ben ventilato. La casera era il fabbricato meglio costruito, con spesse pareti in muratura a calce, ed era dotato di spesse porte e di inferriate alle aperture per proteggere il prezioso contenuto.
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Una visita al Centro del Bitto vi porterà in un mondo di sapori e profumi unici, dove le stagioni scandiscono i tempi delle lavorazioni e delle cure che i nostri casari dedicano alle nostre amate forme.
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